Io sono solo Barbie
Con l’uscita del film omonimo, posterizzato su tutti i muri, e su tutti luoghi e su tutti i laghi del mondo a partire dal mese di luglio, i riflettori si sono ri-accesi su di Lei. Ma la bambola più famosa non si è certo scomposta: è abituata, fin dalla nascita, alla fama planetaria.
Prima di cominciare, è giusto fare un piccolo passo indietro e raccontare come è nata tutta questa “blondie popularity”. Le Barbie sono state onnipresenti nell’infanzia di diverse generazioni, con oltre un miliardo di bambole vendute dalla loro messa in commercio nel 1959; ma più le bambine crescevano, più il dibattito sull’eredità lasciata dal marchio si faceva spinoso e critico. Tutti abbiamo ancora in mente le critiche riguardanti l’inevitabile associazione con un ideale di donna bionda minoritario e iper-oggettivizzato.
Ma la vera storia di Barbie è complessa e decisamente più bizzarra di quanto forse possiate immaginare. La bambola rappresentava qualcosa di totalmente nuovo, quando è apparsa alla fine degli anni ’50. Prima del suo arrivo, le opzioni di giocattoli per bambine erano essenzialmente limitate a bambole bebè e giochi che scimmiottavano la maternità. Barbie rappresentava una visione diversa, non dovevi essere solo una casalinga, potevi essere una donna di mondo con tantissimi abiti alla moda. E potevi persino avere le curve. Con il passare dei decenni, le Barbie sono diventate gradualmente disponibili in una vasta gamma di etnie e tipologie di corpo.
Nel 2016, per ovviare alle continue critiche, la Mattel ha finalmente iniziato a produrre modelli di bambole “plus-size“, e le Barbie attuali sono disponibili in cinque diverse tipologie di corpo. Barbie, poi, è stata una donna in carriera, fin dalla sua nascita ha avuto più di 200 percorsi lavorativi diversi, peraltro aumentati nel corso degli ultimi anni. Questo cambiamento è stato anche una risposta alle critiche rivolte alle bambole che, intenzionalmente o meno, hanno alimentato stereotipi misogini riguardanti l’abilità delle donne.
Ma arriviamo al cambiamento che più ci interessa, quello ecologico, finalmente! La nuova Barbie “Loves the Ocean”. Appena lanciata, è fatta in gran parte di plastica riciclata per promuovere la salvaguardia degli oceani. Uno dei giocattoli più famosi al mondo fa un passo avanti verso un’ottica green! Le parti in plastica delle bambole amiche dell’oceano sono realizzate per il 90% in plastica come bottigliette e contenitori destinati a galleggiare, arrivando magari fino all’oceano, recuperati e destinati alle braccia e alle gambe di Barbie. Non sono fatte con questa plastica di recupero le teste delle bambole, così come gli accessori (le scarpe, il tablet e la lanterna da spiaggia). Sono alte circa 28 cm e sono disponibili in tre diverse tonalità della pelle. Questa collezione e partnership segue l’obiettivo di Mattel di raggiungere il 100% di materiali plastici riciclati, riciclabili o a base biologica in tutti i suoi prodotti entro il 2030.
Tornando per un attimo al film, quest’ultimo ha però alimentato polemiche a non finire, in primis lo scontro Greenpeace vs Mattel. Secondo uno studio effettuato dal Colosso dal Cuore Verde, pare che la Mattel utilizzi, per i suoi imballaggi, del legno proveniente dalle foreste pluviali dell’Indonesia, un’area minacciata dalla deforestazione e che dovrebbe rientrare tra le aree protette. Questo polmone verde ospita un gran numero di specie minacciate dall’estinzione, dalle tigri agli oranghi, e tutte queste potrebbero veder accelerare la loro sparizione a causa di un semplice imballaggio di cartone.
Il gruppo ambientalista ha chiesto all’azienda di smettere di usare quel legno per il confezionamento dei suoi prodotti, e siccome dalla sede della Mattel non arrivano risposte, Greenpeace ha deciso di passare al contrattacco come meglio sa fare, cioè con le azioni dimostrative. È partita una campagna di discredito della bambola in America, attraverso Facebook, in cui si mostra Ken, il suo storico fidanzato, che la lascia dicendo: Barbie: è finita. Non voglio uscire con una ragazza coinvolta nella deforestazione!
Ma non è tutto: come ben sappiamo, il mondo di Barbie è totalmente rosa. La scenografia del film, dunque, doveva adeguarsi. Si potrebbe pensare che, dato che siamo nel 2023, questo effetto sia stato creato con la computer grafica. E invece, a quanto pare, no: si è preferito usare un metodo più tradizionale, ovvero la classica vernice rosa, con buona pace dell’ambiente. E diciamo così perché non si è acquistato qualche latta di vernice, ma se ne è fatto un uso così massiccio da creare una carenza mondiale.
“Mantenere la ‘bambinità’ era fondamentale. Volevo che i rosa fossero molto luminosi e che tutto fosse quasi eccessivo”, è quanto ha rivelato la regista. Un dettaglio a cui non voleva proprio rinunciare, dato che questo colore rosa così accentuato era quello che le aveva fatto “amare Barbie quando ero una bambina”.
La scenografa Sarah Greenwood, presente anche lei all’intervista, ha raccontato le assurde conseguenze che questa volontà ha avuto. A suo dire ciò ha portato ad una carenza della tonalità fluorescente della vernice rosa, cancellando le forniture globali di un’intera azienda. La donna ha scherzato: “Il mondo ha finito il rosa”, ma le sue parole sono finite al centro della bufera. Tuttavia, la produzione di Barbie ha coinciso con problemi più ampi della catena di approvvigionamento globale durante il Covid, nonché con il clima estremo in Texas all’inizio del 2021, che ha colpito i materiali vitali utilizzati per creare la vernice.
Insomma, dei bei disastri attorno a questa Barbie, e tutto quello che si porta dietro. Ma noi facciamo il tifo per te, biondissima amica di sempre, soprattutto con l’arrivo della tua gemella Barbie Loves the Ocean.
E ricordati che in fondo la colpa non è tua: tu sei solo Barbie!