Nessun ombra su Umbria Jazz

Nessun ombra su Umbria Jazz

La musica dal vivo è da sempre sinonimo di libertà, a volte di ribellione, sicuramente di aggregazione. Chi non mette nei giorni memorabili della propria giovinezza almeno un concerto che ha visto? Chi non si è innamorato perdutamente o ha pianto per la fine di un amore, sotto un cielo gonfio di stelle, al concerto della propria band preferita? Insomma, la musica e i concerti sono i nostri compagni ideali per “smuovere” tutto quello che di bello e di brutto portiamo dentro, sia da adolescenti che da adulti.

Certo, c’è modo e modo per esternare tutta questa energia sentimentale. Fino a poche stagioni fa il “Concertone” era sinonimo anche di spreco, sporcizia, e maltrattamento dei luoghi dove si teneva l’evento. Un esempio su tutti: il Jovanotti beach club, che ha destato, degli ultimi anni, innumerevoli critiche sulla gestione dei luoghi in tema di ecosostenibilità, sempre però duramente smentite dal diretto interessato.

Per fortuna, tutto sta cambiando: esempio lampante è “Umbria Jazz”, uno tra i festival musicali più famosi e apprezzati in Italia appena concluso, che festeggia 50 anni, diventato il primo festival green certificato EcoEvents.  Il bello di Umbria Jazz è quello di animare tutta la città di Perugia da mattina a sera, non solo con gli show all’aperto sui palchi principali ma anche con la parola d’ordine sostenibilità bene in mente! Le iniziative che il Festival, insieme a  una regione verde come l’Umbria, hanno abbracciato, vanno dall’utilizzo nei punti ristoro di prodotti, quali bicchieri, piatti, posate e tutto ciò che si rende necessario nelle varie fasi della ristorazione, esclusivamente in materiali 100% biodegradabili e compostabili o riutilizzabili,  all’istallazione di erogatori d’acqua e la promozione dell’uso di borracce e di bicchieri in plastica durevole, per ridurre il ricorso all’usa e getta.

Dalla preparazione degli alimenti con prodotti a basso contenuto d’imballaggi, all’allestimento di isole ecologiche all’interno degli spazi delle manifestazioni, promuovendo al contempo iniziative di informazione e sensibilizzazione in tema di riduzione dei rifiuti, raccolta differenziata, riuso e riciclo.

Senza dimenticare l’azzeramento delle emissioni di CO2 tramite l’adesione a progetti nazionali e internazionali di compensazione. O l’impegno a favorire la mobilità sostenibile, attraverso la scelta della location.

Infine, con l’utilizzo di campagne informative e di sensibilizzazione per diffondere tra il pubblico di riferimento l’uso dei mezzi pubblici, la limitazione dell’utilizzo dell’automobile favorendo la disponibilità di navette gratuite per raggiungere i luoghi dei festival, o il car-sharing, come anche il noleggio di biciclette, favorendo la mobilità pedonale e ciclabile grazie alla predisposizione negli spazi dove si svolgono gli eventi di aree dedicate a chi opera questa scelta.

Umbria jazz è uno spot vivente all’ecosostenibilità.

 

Perché la musica è un valore condiviso, un’energia pulita e rinnovabile che fa bene alle persone e alla comunità.

Dunque, davvero un ottimo risultato e traguardo che lascia margini di miglioramento per le prossime edizioni e contribuirà a fare da traino per l’intero mondo dello spettacolo dal vivo italiano.

Un calcio alle brutte abitudini

Un calcio alle brutte abitudini

Eh, sì, anche il calcio sta cambiando, e sta andando nella direzione del green. L’esempio migliore lo dà la Dacia Arena, stadio dell’Udinese calcio, che viene menzionata nel mondo come fiore all’occhiello italiano per la sostenibilità.

Presto faremo una partita ad emissioni zero” dice Magda Pozzo, coordinatrice Marketing Udinese Calcio.

Ma come deve essere concepito uno stadio contemporaneo?

Innanzitutto, non deve essere legato esclusivamente al calcio ed al matchday, ma avere le proprie attività quotidiane, dove l’innovazione si sposa con la sostenibilità. La Dacia Arena è a tutti gli effetti il primo stadio green d’Italia.

Il primo step è stato fatto con l’idea “Bluenergy”: lo stadio è illuminato solo con energia da fonti rinnovabili, il che ha consentito di risparmiare oltre 2250 tonnellate di CO2. Parallelamente con la promozione di progetti green, come la piantumazione di alberi, per compensare le emissioni. Inoltre, in tutto lo stadio viene attuata la raccolta differenziata e limitato il consumo di plastica.

E grazie a tutti questi sforzi che quest’anno, la Football Sustainability Index pone l’Udinese tra gli unici due club italiani (l’altro è il Milan) tra i primi 10, ed in quarta posizione a livello globale. “Non è assolutamente un caso. Per noi è solo un primo step in un percorso che vogliamo sia sempre più intenso e concreto sotto tutti i punti di vista – sottolinea Magda Pozzo – Direi che siamo diventati un riferimento internazionale per un club delle nostre dimensioni, come evidenziato dalla nostra adesione al programma Sport For Climate Action delle Nazioni Unite, per la promozione di una maggiore responsabilità ambientale verso i nostri tifosi e non solo, di un consumo sostenibile e, al tempo stesso, l’impegno per ridurre l’impatto climatico degli eventi sportivi e a sostenere con la nostra comunicazione l’azione climatica. Un impegno totale che ci ha portato a questo risultato”.

Rimane però ancora ampio, a livello generale, in divario tra i club inglesi e la Serie A in tema sostenibilità. In Inghilterra e in Spagna l’urgenza sociale di questo tema è stata colta in anticipo e questo ha fatto sì che si creasse un gap rispetto al nostro Paese. Però è ormai evidente che, grazie agli esempi di Udine e Milano, sia iniziato un processo che sta portando il calcio italiano nella giusta direzione. La consapevolezza che il calcio non sia solo un gioco, ma soprattutto una passione ed un’industria con un incredibile potere comunicativo e sociale che deve trasmettere dei messaggi positivi, è la chiave del successo dell’iniziativa.

In più, sempre più atleti stanno prendendo consapevolezza di quanto sia importante la loro voce e la loro sensibilità per promuovere il tema ecologico. Il calcio di oggi è globale e raggiunge, grazie ai social, le nuove generazioni ad una velocità mai avuta in passato. Questo fa sì che il messaggio arrivi diretto, forte e chiaro. È un qualcosa di straordinario che va capitalizzato.

La “fascia di capitano dedicata” è un simbolo importante che suscita impatto mediatico ed anche curiosità, ma l’impegno concreto dei protagonisti in campo veicola ancor di più il messaggio. E’ ormai chiaro che solo unendo gli sforzi delle società con quelli dei singoli atleti si possa arrivare a trasformare degli slogan ecologisti in un reale cambiamento, duraturo e definitivo.

Se vogliamo dirlo in gergo calcistico: a vincere la partita con una goleada!

La spiaggia è per tutti?

La spiaggia è per tutti?

“La spiaggia è di tutti, e io sono libero di farci quello che voglio”. Questo è stato il pensiero comune della sprovveduta comunità di bagnanti che affollavano le meravigliose spiagge italiane, famose in tutto il mondo, fino a qualche tempo fa, adottando comportamenti decisamente discutibili, non curandosi di lasciare il luogo “come lo avevano trovato”. Per fortuna, si è deciso di combattere la maleducazione imperante, correndo ai ripari con l’obiettivo di salvaguardare l’immenso patrimonio paesaggistico e naturale nel quale noi italiani siamo abituati da sempre ad abitare.

Le pratiche green stanno, finalmente, interessando anche i lidi, compiendo alcune scelte che vanno in un’ottica di maggiore sostenibilità ambientale. Del resto, considerato quanto la Terra ci offre, amarla e rispettarla con pochi e semplici gesti può davvero fare la differenza. A partire dal 2015 Legambiente concede l’ecolabel (ISO 13009) ‘Lidi sostenibili’ alle spiagge che si attengono a determinati principi di sostenibilità. Questi i parametri da rispettare:

 

– Il libero accesso al mare

– La gestione ecosostenibile degli spazi

– La definizione di attività sostenibili

– La salvaguardia della natura

– Il rispetto delle risorse naturali

– La comunicazione della cultura dei luoghi

 

Una spinta ulteriore è arrivata sicuramente anche grazie all’impegno delle associazioni locali e nazionali, prima fra tutte Legambiente, con l’obiettivo di promuovere e far conoscere quegli stabilimenti balneari che coniugano l’offerta turistica con alcune scelte di tutela ambientale, servizi di qualità, offerta di prodotti locali e a chilometro zero, utilizzo di energia rinnovabile e implementazione di sistemi di gestione del ciclo di rifiuti e delle acque. Il progetto si è poi fuso con quello del sito ecospiagge.it, che da quindici anni è impegnato in un’azione di sensibilizzazione rivolta alla promozione delle spiagge e degli stabilimenti balneari italiani che privilegiano la sostenibilità e il basso impatto ambientale.

L’Emilia-Romagna la fa sicuramente da padrona, con il maggior numero di stabilimenti balneari che hanno aderito al progetto e ottenuto la certificazione. Ma alcune best-practice si trovano anche in altre regioni italiane. In Liguria, ad esempio, spiccano i Bagni Mafalda Royal di Varazze che sono stati premiati per una particolare cura delle risorse naturali, lo studio del patrimonio della flora locale e marina, la realizzazione di un orto da mare in verticale e l’uso di olio ligure dop nel ristorante.

Nel Lazio invece, il Lido Idelmery di Arma Di Taggia è stato definito un lido sostenibile grazie all’impegno dei gestori che hanno puntato soprattutto sull’incentivare l’accessibilità e sul potenziamento dei servizi.

Il bagno Sara di Massa è invece una delle eccellenze della Toscana ed ha segnato un record, quello del primo stabilimento balneare italiano ad essere totalmente autosufficiente energeticamente grazie al solare. L’impianto fotovoltaico da 20kW consente infatti di poter fare 240 docce al giorno, usando solo energia pulita.

Le spiagge, sì, sono di tutti, ma solo adottando comportamenti corretti ed educati potremo continuare a godere dei nostri tanto amati luoghi di villeggiatura, visitati da turisti di tutto il mondo. W l’Italia, e chi la ama davvero!

Se son ferie, “ferieranno” green!

Se son ferie, “ferieranno” green!

Per molti, le vacanze sono qualcosa a cui semplicemente non si può rinunciare. Che si tratti di staccare la spina per qualche giorno o di avere finalmente l’opportunità di visitare una destinazione che si sogna da sempre: viaggiare è diventato parte integrante della nostra vita. E ora più che mai, considerando gli ultimi tre anni di pandemia, sentiamo il desiderio di preparare la valigia e partire.

Con l’inizio del mese di giugno possiamo dire che l’esodo dalle città è ufficialmente cominciato. Anche se il vero e proprio “boom” delle vacanze estive risale alla metà del secolo scorso, l’idea della fuga dalla città ha radici ben più antiche. Per la precisione, infatti, sono stati i Romani ad aprire la strada all’amato concetto di vacanza.

Il mondo, però, sta diventando sempre più “eco-consapevole”, e man mano che il cambiamento climatico si presenta più evidente ci ritroviamo a mettere in discussione le nostre scelte anche da questo punto di vista.  Il turismo è la quarta causa di inquinamento ambientale e di produzione di Co2, sia all’interno dell’Ue che altrove. L’industria del turismo, infatti, è stata identificata come un fattore determinante nelle pressioni ambientali; in particolare riguardo la carenza idrica, l’uso del suolo e delle risorse, lo sfruttamento degli habitat costieri, con conseguente perdita di biodiversità.

Questa nuova consapevolezza ha fatto sì che i termini di ricerca “eco-turismo”, “vacanze ecologiche” e “hotel ecologici” abbiano avuto un andamento positivo negli ultimi anni. Insieme ad altre scelte di vita volte alla sostenibilità, questo nuovo tipo di vacanza ha catturato l’attenzione del pubblico e probabilmente diventerà la norma per le generazioni future solitamente più attente all’ambiente.

Il desiderio di viaggiare green è già un trend seguito da moltissimi: secondo il Sustainable travel report di Booking.com, a livello globale l’81% dei viaggiatori vuole partire in modo sostenibile, e il 50% afferma che le recenti notizie sui cambiamenti climatici li hanno influenzati a fare scelte “travel” più consapevoli per l’ambiente. 

Lo stesso report ha anche rivelato che il 59% dei viaggiatori afferma di voler lasciare i luoghi che visita meglio di quando è arrivato, confermando quindi una certa attenzione comune per l’ambiente nel contesto turistico. Ecco allora che comincia a nascere un nuovo modo di viaggiare, più “slow”, più etico e responsabile, che promuove opzioni sostenibili e vuole regalare esperienze di viaggio in sicurezza e tranquillità. 

Il trend è globale, ma trova conferma anche in Italia. Il 52% degli intervistati italiani (tra i 26 e i 40 anni) ha affermato di essere pronto a cambiare le proprie scelte di vacanza, se questo può produrre effetti positivi sull’ambiente. 

Prendono allora piede le vacanze all’aria aperta. Nella classifica di Camping report (CaRe) fatta dal portale italiano campeggi e villaggi vacanze, la destinazione outdoor più cercata nella penisola è la Toscana (13%). Subito dopo ci sono Veneto e Puglia (rispettivamente 12% e 11%). Tra le top 5 anche Sardegna (10%) e Marche (8%). 

Il quadro è chiaro: gli italiani vogliono fare vacanze green, sia perché vogliono stare nel verde sia perché vogliono avere il minor impatto possibile sulla natura. Secondo molti, infatti, un turismo essenziale, quindi ambientalmente sostenibile, non solo ci permetterebbe di vivere meglio, ma potrebbe aiutare a salvare il pianeta.

E noi di Italia Gas e Luce non possiamo far altro che “sposare” l’idea, perché quando è green è giusto. Dunque, preparate le valigie, che è tempo di partire!

Vivere off-grid

Vivere off-grid

Arriva sempre quel momento nella vita in cui dici: Basta, adesso mollo tutto e apro un chiringuito ai Caraibi! Chi non l’ha pensato, almeno una volta? E anche se la fuga dalle città è sempre di moda, in un’epoca che va a 200 all’ora verso il futuro, i desideri ormai sono cambiati e spingono nella direzione “high tech”: una bella casa off-grid! Di cosa stiamo parlando, direte voi? Letteralmente con il termine Off-grid si fa riferimento a una casa fuori rete (senza gas, elettricità, sistema fognario e connessione a internet), quindi a un’abitazione totalmente scollegata da ogni tipo di rete e indipendente in ogni aspetto, che si alimenta sfruttano solamente gli elementi rinnovabili, come il sole, il vento e la pioggia, così da non consumare e non inquinare.

Per alimentarsi, le case off-grid utilizzano l’elettricità autoprodotta con le fonti rinnovabili, come ad esempio il fotovoltaico. In realtà, oltre ai pannelli solari, queste abitazioni possiedono anche delle batterie per accumulare corrente in accesso ed utilizzarla nei periodi di minore irraggiamento o durante la notte. Essendo totalmente scollegate dalla rete, è indispensabile installare un impianto fotovoltaico con accumulo e non uno tradizionale.

Quindi, quali sono i punti forti di un immobile off-grid?

1) La raccolta di calore con i pannelli solari a tubi per produrre acqua calda a partire da tale calore ottenuto. Si tratta di utilizzare materiali che possano ridurre al massimo i consumi.

2)L’elettricità prodotta in questo luogo deriva solo ed esclusivamente da fonti inesauribili e rinnovabili ed è sufficiente per alimentare un’intera casa e soddisfare il fabbisogno.

3)Per realizzare queste case si sfruttano per il 45% di materiali riciclati. Si tratta di dare nuova vita a componenti che altrimenti andrebbero eliminate.

4)Il tetto è costruito in modo tale da convogliare l’acqua piovana in una cisterna di raccolta. Qui il flusso viene filtrato e trattato finché non diventa idoneo all’utilizzo potabile e non. Raccogliendo l’acqua si riescono a svolgere tantissime attività quotidiane senza il bisogno di ricorrere a fonti esterne. Da qui si raccoglie anche acqua non potabilizzata ma filtrata, usata ad esempio per lavare i piatti, per fare la doccia o anche per alimentare un terreno e una coltivazione.

Vivere in una casa off-grid è una scelta coraggiosa ma conveniente, da diversi punti di vista. Si tratta di abitazioni, spesso realizzate in legno, un materiale che permette di limitare al massimo i consumi grazie alle proprietà isolanti e traspiranti, con un prezzo molto diverso rispetto a un appartamento o a una casa tradizionale.

Infatti, di solito, per una casa off-grid basica si spendono tra i 7mila e i 10mila euro. Ma, per modelli più sofisticati e innovativi, si possono arrivare a spendere anche 70mila o 80mila euro.

In Italia, purtroppo, non è ancora possibile vivere in una casa completamente indipendente e autosufficiente a causa di alcuni regolamenti che vincolano il concetto di abitabilità alla dipendenza dalla rete. In questo Paese il processo per l’approvazione dei principi alla base delle abitazioni off-grid è ancora in corso di approvazione. Un primo passo importante può essere costituito dall’acquisto e dall’installazione di un impianto fotovoltaico. Infatti, anche se non si raggiunge la piena e completa indipendenza, i pannelli solari consentono di ridurre notevolmente le emissioni e di abbassare i costi di bolletta in maniera significativa. Se il desiderio è di inserirsi nella transizione ecologica e di diventare sostenibili, gli impianti solari diventano un ottimo alleato nell’attesa di poter trasformare la propria casa in una vera e propria abitazione off-grid.

Per i sogni, in Italia, c’è sempre tempo, purtroppo. Almeno quando ci si mette di mezzo la burocrazia e la mancanza di una visione coraggiosa. Ci toccherà aspettare i passi delle nazioni più all’avanguardia, per poi salire, come al solito, sul carro dei vincitori. Comunque, la sensazione è che il futuro non sia mai stato più vicino di adesso. 

Mammamia è una Sushimania

Mammamia è una Sushimania

Ormai è un dato di fatto, la tanto amata e celebrata cucina italiana non ha più l’esclusiva sulle nostre tavole. Ci stiamo lasciando sedurre da piatti esotici, provenienti da paesi lontani: da quelli piccanti del “messicano”, a quelli speziati dell’”indiano”, da quelli saporiti del “cinese” fino a quelli agrodolci del Marocco. E i ristoranti sono sempre pieni! Ma c’è una cucina che spazza via tutte le altre concorrenti dal cuore e dal palato di noi italiani: quella giapponese. È ormai a tutti gli effetti Sushimania, dove a farla da padrone sono il salmone e l’avocado. Quanto li amiamo! Specialmente uniti in un sol boccone, magari bagnati dalla soia, zeppa di wasabi.

Ma questa nuova moda culinaria ha un prezzo? Certo che sì, e non solo economico, ma soprattutto sul piano della sostenibilità. Quanto danno recano le coltivazioni di questi due “fenomeni da ristorante” all’ambiente mondiale?

Cominciamo con l’avocado.

Sarà complice il nome esotico e il sapore delizioso, ma questo frutto è arrivato sulle nostre tavole e, soprattutto, nei menù dei ristoranti, per cui ormai un brunch domenicale non è tale senza un avocado toast, sia nella versione “veg” che abbinato al salmone. Il successo di questo alimento nasconde, però, ombre non indifferenti. In primis, la grande quantità d’acqua richiesta per la sua coltivazione, secondo, quanto calcolato dall’Università di Twente nei Paesi Bassi, la produzione di avocado ha un costo idrico molto elevato. Si stima, infatti, che 500 grammi di frutta richiederebbero 272 litri d’acqua, considerando che una mela di 100 grammi ne necessita 70 e la lattuga 20. Inoltre, la domanda europea, costante e in crescita, sta mettendo seriamente in difficoltà le aree agricole dei paesi di coltivazione, prevalentemente il Sudamerica. In dieci anni (2012-2022) la produzione è quintuplicata, le esportazioni decuplicate e moltissimi terreni dedicati a più tipi di coltivazione differenti sono stati trasformati in monocolture. In più, in tutta l’America Centrale e Meridionale, l’aumento di domanda di avocado dall’estero ha fatto sì che anche molte terre vergini e foreste fossero trasformate in piantagioni.

Tuttavia, esistono delle alternative sostenibili sia dal punto di vista ambientale che umano.

Primo aspetto da considerare è la stagionalità: la raccolta dell’avocado comincia a ottobre per le varietà Zutano, Fuerte e Bacon e prosegue con la Hass (quella oggi più diffusa) da gennaio fino ad aprile, al massimo fino al mese di maggio. Questi sono i periodi in cui è possibile acquistare e consumare avocado fresco, durante il resto dell’anno è molto probabile che il prodotto che troviamo nel supermercato non sia effettivamente sostenibile.

Anche la provenienza del frutto può aiutarci a scegliere un alimento che ha meno impatto sull’ambiente. Infatti, non esistono ragioni per cui l’avocado non possa essere coltivato lontano dal Sudamerica: ne sono testimonianza i 10.000 ettari di terreni ad esso dedicati in Spagna e i 260 ettari in Sicilia. In questa Regione si è scelto di investire in un prodotto biologico, di qualità e sostenibile.

Tocca adesso al salmone, e anche con questo animale così particolare, la storia non cambia.

Un salmone selvatico, grazie alla sua alimentazione naturale, ha carni di un colore rosato e uniforme, e nasce con l’incredibile propensione che lo porterà a risalire lo stesso fiume in cui è nato. Questo suo comportamento, insieme al fatto di aver vissuto tutta la vita in mare aperto, determina un basso tasso di tessuto adiposo. I salmoni di allevamento, invece, non godono di queste caratteristiche. Nutriti con mangimi a base di altri piccoli pesci, cereali e soia, la loro carne è molto più sbiadita. Questo non è ammissibile in un mercato che utilizza il colore della carne come primo criterio di valutazione della qualità del salmone. Ecco che per il pesce allevato è diventata ormai la prassi aggiungere coloranti e additivi in modo da accontentare l’occhio del cliente. Inoltre, fortemente limitati nei loro movimenti, i pesci allevati risultano essere molto grassi e, se la loro dieta è ricca di vegetali, presentano percentuali minori di quegli omega-3 tanto importanti anche per la nostra salute.

Gli allevamenti intensivi, inoltre, nascono con lo scopo di produrre tanto col minimo sforzo. Gli animali vengono quindi ammassati in spazi ben al di sotto di quanto avrebbero bisogno, e quel che ne deriva è un aumento dello stress, dell’aggressività e delle patologie. Di conseguenza, per ridurre la trasmissione di malattie nell’allevamento, i pesci vengono alimentati con mangimi ricchi di antibiotici. Con il risultato che consumare alimenti provenienti dalla maggior parte degli allevamenti intensivi contribuisce ad aumentare l’antibiotico-resistenza nella popolazione.

Lo spreco idrico è altrettanto drammatico: gli allevamenti ittici sfruttano grandi quantitativi d’acqua che provengono dai fiumi riducendo così le disponibilità per l’agricoltura e la popolazione locale.

Ogni volta, dunque, arriviamo alla triste conclusione che il più grande nemico della sostenibilità sia l’uomo stesso, che prepone sempre il proprio piacere e il divertimento alle responsabilità, senza rendersi conto che “La più grande minaccia al nostro pianeta è la convinzione che lo salverà qualcun altro” (cit. Robert Swan).

Meditate gente, mediate.

Sustainable Fashion VS Fast Fashion

Sustainable Fashion VS Fast Fashion

“La vedi questa camicia? Era di mio nonno, ha 40 anni. È la mia preferita! Sembra ancora nuova”

“Lo vedi questo top? L’ho comprato ieri, e credo proprio che non lo indosserò più domani”.

 

I dati parlano chiaro, la moda sostenibile sembra essere passata dall’essere un vezzo di pochi ad una scelta consapevole per molti consumatori nel mondo del fashion.

L’Italia è indubbiamente tra i paesi più in linea con questa tendenza. Il made in Italy, da sempre sigla rappresentativa di un lifestyle esclusivo e apprezzato in tutto il mondo, nonché sinonimo di alta qualità, è sempre più ricercato. Secondo recenti ricerche risulta che più della metà della popolazione italiana si rifiuterebbe di acquistare un prodotto d’abbigliamento da una casa di moda che non abbia delle linee etiche e ambientali ben precise.

La moda è uno dei settori ad avere maggior impatto ambientale: ne è una prova il fatto che essa è la causa dell’inquinamento del 20% delle acque potabili globali. Per questo motivo moltissimi consumatori oggi si orientano verso scelte maggiormente responsabili per la società e l’ambiente che le circonda. Questa particolare attenzione è propria, in particolar modo, della generazione Z, la quale, sempre attiva sui social, guarda alla sustainable fashion con sempre maggior interesse. Basti pensare alla crescente popolarità dello stile “old money”, che su Tik Tok è stato trasformato in un vero e proprio trend virale, e che sta ad indicare coloro che aspirano alla creazione di uno stile che rifiuta apertamente la caducità del fast fashion per un modo di vestire ispirato al passato, esclusivo e dalla qualità altissima.

Di altrettanto successo è il mercato secondhand che, come mostrano recenti ricerche, rappresenta già dal 3% al 5% del settore complessivo dell’abbigliamento, e potrebbe crescere fino al 40%. Sebbene gli articoli di seconda mano costituiscano circa un quarto degli armadi degli acquirenti di pezzi pre-loved, si prevede che nel 2023 costituiranno il 27%. A sceglierli sono ancora una volta i consumatori della Generazione Z, i più propensi ad acquistare (31%) e vendere (44%) articoli di seconda mano, seguiti dai millennial. Il 40% degli acquirenti considera l’usato come un modo per consumare moda in modo sostenibile, e altrettanti consumatori scelgono questo mercato per l’ampia scelta e i pezzi unici che offre. Anche il ‘brivido della caccia al tesoro’ e l’opportunità di negoziare con i venditori sono fattori sempre più popolari per l’acquisto di abbigliamento di seconda mano.

Di questo stesso stampo sono anche siti, già di tendenza da alcuni anni, come Vinted e Vestiaire Collective, i quali permettono ai loro utenti di vendere e acquistare in totale libertà. Quindi, se acquistare meno è acquistare meglio come si spiega un fenomeno globale come quello di Shein?

Per chi non lo conoscesse Shein è un negozio online di abbigliamento a basso costo che in pochi anni ha raggiunto e superato le maggiori catene Fast Fashion del mondo. Shein è infatti valutato oltre 30 miliardi di dollari e dal 2020 è diventata la più grande azienda di moda, esclusivamente online, del mondo. Si tratta di un marchio decisamente economico, motivo che lo ha reso così popolare, che vende vestiti che arrivano a costare pochi euro l’uno. In molti si sono chiesti come il colosso cinese possa produrre questi abiti a prezzi così bassi e la risposta è che purtroppo a farne le spese sono i suoi lavoratori. Questi, infatti, lavorano fino a 18 ore al giorno, 7 giorni su 7 e sono pagati 3 centesimi a capo di abbigliamento. La fonte di questi dati è il documentario investigativo “Untold: the Shein Machine” che mostra, grazie ad una donna sotto copertura, cosa significhi davvero lavorare in una fabbrica che produce abiti per quel marchio.

Le contraddizioni nel mondo della moda, dunque, sono molte e seppure l’attenzione alla sostenibilità sia sempre più diffusa è anche vero che la continua crescita di colossi come Shein ci deve far riflettere sul fatto che un capo seppure più economico per il consumatore diventa un costo insostenibile per il pianeta in termini di risorse, inquinamento e sfruttamento umano.

Noi di Italia Gas e Luce non ci nascondiamo, e stiamo, come sempre, dalla parte del sostenibile. Abbiamo appena visto che con un po’ d’attenzione, ricerca e gusto si può essere alla moda senza svuotare il portafoglio, e soprattutto senza recare troppo danno al nostro pianeta. Tu da che parte stai?

Chi l’orto fa da sé, lo fa per tre

Chi l’orto fa da sé, lo fa per tre

Dottore, ho il morale sotto i piedi, sono stressato e il cuore che mi batte sempre forte

Non si preoccupi, le prescrivo dell’ortoterapia

… È una cosa grave, dottore?

Hai sempre sognato un orto fai da te in casa, ma non hai mai avuto il coraggio? Non autocommiserarti troppo, magari ti è mancato un po’ il tempo o non hai mai trovato spunti interessanti da cui partire per creare il tuo personale angolo verde, anche se abiti in città. Certo è che gli orti urbani sono una realtà sempre più presenti: sono belli da vedere e apportano molti benefici alla salute (individuale e collettiva), sono utili e funzionali perché consentono di avere le verdure che preferisci a km 0 e in più, danno un tocco di originalità ai tuoi spazi all’aperto, fino anche a decorare con stile gli ambienti interni.

Lavorare la terra poi, in giardino o in vaso, aiuta corpo e mente a stare in forma e in salute. L’ortoterapia se eseguita con costanza infatti può aiutare a: migliorare l’umore, allontanare ogni forma di stress, regolarizzare la pressione del sangue, migliorare la fiducia in se stessi e l’autostima. Coltivando un orto, quindi, ci prendiamo cura della nostra salute.

Ovviamente per cominciare bisogna acquistare un kit per il giardinaggio base, così da avere tutto il necessario. E poi scegliere cosa piantare nell’orto di casa. Ricordati di seguire le stagionalità delle piante: ognuna ha il suo periodo di semina e quello di raccolta, che dobbiamo assolutamente rispettare: un calendario delle piante da seminare mese per mese può tornarti utile. E non dimenticarti mai di chiedere consigli utili a chi è esperto, così da conoscere tutti i trucchi per tenere lontani insetti, parassiti, malattie e seguire tutti gli accorgimenti per piante da orto forti e sane.

In linea di massima gli ortaggi e i frutti più facili da coltivare sul balcone e in luoghi ristretti sono: lattughe, basilico, prezzemolo, rucola, fragole, cipolle, pomodori, zucchine, cetrioli, peperoni, melanzane.

Ma come sistemare poi queste piantine per organizzare bene gli ambienti e garantire loro la giusta esposizione al sole?

Il fai da te ci permette di creare tantissimi angoli dedicati alla nostra passione green, con materiali di recupero e tanta creatività. Non ti devi preoccupare se lo spazio è poco, se hai un balcone piccolo o se in giardino è tutto occupato da altro. Sono tantissime le idee originali per un orto fai da te che puoi iniziare a fare subito in casa. Troverai sicuramente l’angolo più idoneo. Per esempio, le pareti dei balconi (o anche di spazi interni per chi vuole avere un profumo naturale in tutta casa) possono ospitare fioriere verticali dove piantare le erbe aromatiche utili per le nostre ricette in cucina. Basta ricreare una parete in cui installare i nostri vasi e il gioco è fatto. Inoltre, le pedane in legno si possono recuperare a costo zero e si possono trasformare in fioriere con ruote, per muovere agevolmente. Ideali per piantare ad esempio l’insalata.

Che dire poi dei vasi appesi? Sono l’ideale per balconi piccoli, spazi che si sviluppano in verticale oppure per coltivare qualcosa indoor.

Ricorda che non solo le piante aromatiche si possono coltivare in verticale. Se lo spazio in orizzontale non c’è, permetti alle tue piante di svilupparsi in alto, con piante coltivate su pareti decorate dove installare i vasi con dentro gli ortaggi che preferisci.

Allora, siamo stati bravi? Secondo noi tu lo sarai di più! Cosa aspetti a creare il tuo piccolo spazio di benessere verde in casa? Siamo certi che non riuscirai più fare a meno di annaffiatoi, semi, zappe e guanti colorati per prenderti cura giorno dopo giorno delle tue piantine, che cresceranno forti e sane e saranno anche loro da primo premio.

Allora, come si sente, come va con l’ortoterapia?

Dottore, mai stato meglio!

A Pasquetta un pic-nic “con chi vuoi”

A Pasquetta un pic-nic “con chi vuoi”

Che si fa a Pasquetta? Il dilemma di tutti, perché col Natale siamo a posto, bisogna passarlo “Con i Tuoi”, lo dice il detto! Ma la Pasquetta, come la Pasqua, è “Con chi vuoi”, e lì si apre un dilemma infinito, che crea confusione fino a sfociare, a volte, in un grande Boh.

E allora noi di IGL proviamo a darvi un consiglio: il Pic-nic! Ma sì, a Pasquetta il picnic in famiglia o con gli amici è la scelta giusta. Ma solo se si ha un occhio di riguardo verso l’ecofriendly. Con qualche accortezza rendere la nostra gita fuori porta sostenibile è semplice.

Il primo passo è evitare lunghi tragitti in auto, perché il traffico intenso sulle le strade è dietro l’angolo, e quindi sono preferibili luoghi raggiungibili a piedi, in bicicletta, o anche con i mezzi pubblici. Tutto ciò permetterà, per altro, di godersi la natura locale così trascurata nella frenetica quotidianità.

Sicuramente una buona idea è anche quella di attrezzarsi con un equipaggiamento adatto, evitando imballaggi in plastica e pellicole inquinanti. I contenitori ermetici sono una soluzione perfetta, portati dentro borse di stoffa e cestini in legno, che permettono di evitare anche l’impiego di sacchetti.

Poi alle bottigliette di plastica si devono, ovviamente, preferire le borracce, e i tovaglioli di carta si possono sostituire con quelli di stoffa, mentre le posate possono essere quelle di casa. Per bicchieri e piatti, evitare il vetro rimane cruciale per la sicurezza. Le alternative riutilizzabili sono le migliori, ma, in caso di necessità, l’importante è virare su prodotti compostabili.

Il pezzo forte del picnic poi è il menu, e rendere anche questo sostenibile è un dovere, scegliendo prodotti locali, preferibilmente a basso impatto ambientale. Frutta e verdura di stagione insieme alle classiche torte salate o a delle insalate di riso farro o quinoa. Preparare cibo buono da consumare anche freddo, in quantità adeguata, e suddividere il tutto in mono porzioni, può aiutare a minimizzare gli sprechi.

Il momento in cui essere ecofriendly risulta più complicato è di certo la conclusione del picnic di Pasquetta. Ripulire l’ambiente cancellando ogni traccia del proprio passaggio è fondamentale. Dividere i rifiuti secondo i canoni della raccolta differenziata è la base. Ma se sul posto non fosse possibile allora portare la spazzatura a casa rimane l’unica soluzione.

Che sbadati, ci siamo dimenticati della cosa più importante, il simbolo della Pasqua: l’uovo! Se vogliamo essere coerenti, per una Pasqua sostenibile, è bene fare attenzione nella scelta dell’uovo di cioccolata. Se possibile, meglio acquistarlo con delle certificazioni bio, o certificazioni di altra tipologia (per esempio Fairtrade). Si possono inoltre prediligere uova con imballaggio di carta e cartone. Ma per chi non volesse rinunciare alle uova tradizionali, con involucro di plastica, ricordate di smaltire tutto nella plastica e non nella carta, come ricorda Comieco, il consorzio nazionale per il riciclo degli imballaggi di carta e cartone. “Quei fogli luccicanti sono plastica, non sono carta – spiega Eliana Farotto del Comieco- Se vengono messi nel bidone insieme alla carta vera, poi creano problemi al momento del riciclo”.

Vedete, come al solito ci sono tanti modi per fare le cose, ma la scelta migliore, in questi anni “dell’usa e getta” e “del tutto e subito” si può almeno provare ad adottare un comportamento sensato ed ecologico. Basta poco, in fondo: un colpo alla pigrizia e un occhio al bene di tutti e del pianeta che ci ospita.

Buona Pasqua e Buona Pasquetta da Italia Gas e Luce!

Chi ha paura della primavera?

Chi ha paura della primavera?

E’ primavera, svegliatevi bambine, alle Cascine messer Aprile fa il rubacuooor” intonava Rabagliati nel lontano 1941. E ancora oggi, verso il 20 marzo o giù di lì, ci ritroviamo a canticchiare per strada queste poche ma memorabili note.

Sì, è arrivata la primavera! Le giornate si scaldano e si allungano, e via con i luoghi comuni, che se sono tali un motivo ci sarà! Famoso è il detto: Primavera fa rima con allergia. Ah, non fa rima? Forse no, ma di sicuro, purtroppo, corrisponde a sacrosanta verità.

La bella stagione che è appena cominciata non è tale per chi è ipersensibile ai pollini: quasi dieci milioni di italiani sono ormai da anni abituati a convivere con sintomi più accentuati e duraturi. Al di là della pianta che è causa del problema, infatti, oggi l’impollinazione è un processo più lungo e intenso. La causa è da ricercare nell’aumento delle temperature durante l’inverno. Meno è rigido il periodo compreso tra dicembre e marzo, tanto più accentuate sono le allergie primaverili. Una dimostrazione di quanto il cambiamento climatico in atto abbia ripercussioni dirette sulla salute

Sono sempre di più gli studi che ipotizzano che la causa di questo trend possa risiedere (anche, ma non solo) nel riscaldamento del Pianeta, come effetto del crescente inquinamento atmosferico. Nei luoghi in cui la qualità dell’aria è peggiore, d’altra parte, i numeri delle allergie sono più elevati.

Entro il 2100 la quantità di pollini prodotti durante le fioriture potrebbe aumentare del 40%, secondo nuove ricerche, rendendo urgente la necessità di capire meglio quali siano i fattori che determinano tale aumento. Se da un lato siccità e ondate di calore danneggiano foreste e pascoli, alcune graminacee, piante infestanti e anche alcuni alberi che producono pollini allergenici prosperano in presenza di temperature più alte e maggiori concentrazioni di anidride carbonica, diventando più grandi e producendo più foglie.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che entro il 2050 metà della popolazione del pianeta soffrirà di almeno un disturbo allergico. L’aumento previsto è dato non solo da una maggiore concentrazione dei pollini, ma anche dai tanti modi in cui gli elementi chimici delle sostanze inquinanti interagiscono con essi. Gli agenti inquinanti, infatti, distruggono la parete cellulare dei pollini, frantumando i loro granuli, relativamente grandi, in particelle di dimensioni inferiori al micron che possono penetrare più in profondità nei polmoni e sono più pericolosi per i soggetti allergici. Inoltre, le sostanze inquinanti possono aumentare la capacità del polline stesso di innescare la reazione allergica.

Studi condotti in laboratorio dimostrano che un aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera porta a pollini contenenti più proteine allergeniche, che sono quelle che provocano la produzione degli anticorpi responsabili dei sintomi fisici della reazione allergica.

Rimangono aperte molte sfide e molto lavoro da fare, difatti i pollini attualmente vengono misurati e monitorati molto meno di qualsiasi altro inquinante atmosferico. La strada da intraprendere da subito, con urgenza, sembra dunque essere quella “nella direzione dello sviluppo di strumenti migliori per comprendere in che modo i pollini potrebbero cambiare in futuro e aiutare le persone a prepararsi al meglio ai relativi impatti sulla salute”.

Qualche buona notizia, per favore! Sembra ci siano, fortunatamente: diverse aziende stanno sviluppando tecniche di intelligenza artificiale per automatizzare il conteggio, rendendolo più efficiente, e quindi maggiormente “monitorabile”. Dunque, la tecnologia che, di nuovo, corre in soccorso della salute del cittadino.

Perché l’obiettivo di tutti noi in fondo è uno: allontanare la paura dell’arrivo della primavera, per poterci solamente godere in santa pace quei giorni di rinascita e rigoglio della natura: a marzo, aprile e maggio voglio solamente gioire! Perché poi si sa, arriva giugno con la torrida estate, e comincia tutta un’altra storia.

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