Io sono solo Barbie

Io sono solo Barbie

Con l’uscita del film omonimo, posterizzato su tutti i muri, e su tutti luoghi e su tutti i laghi del mondo a partire dal mese di luglio, i riflettori si sono ri-accesi su di Lei. Ma la bambola più famosa non si è certo scomposta: è abituata, fin dalla nascita, alla fama planetaria.

Prima di cominciare, è giusto fare un piccolo passo indietro e raccontare come è nata tutta questa “blondie popularity”. Le Barbie sono state onnipresenti nell’infanzia di diverse generazioni, con oltre un miliardo di bambole vendute dalla loro messa in commercio nel 1959; ma più le bambine crescevano, più il dibattito sull’eredità lasciata dal marchio si faceva spinoso e critico. Tutti abbiamo ancora in mente le critiche riguardanti l’inevitabile associazione con un ideale di donna bionda minoritario e iper-oggettivizzato.

Ma la vera storia di Barbie è complessa e decisamente più bizzarra di quanto forse possiate immaginare. La bambola rappresentava qualcosa di totalmente nuovo, quando è apparsa alla fine degli anni ’50. Prima del suo arrivo, le opzioni di giocattoli per bambine erano essenzialmente limitate a bambole bebè e giochi che scimmiottavano la maternità. Barbie rappresentava una visione diversa, non dovevi essere solo una casalinga, potevi essere una donna di mondo con tantissimi abiti alla moda. E potevi persino avere le curve. Con il passare dei decenni, le Barbie sono diventate gradualmente disponibili in una vasta gamma di etnie e tipologie di corpo.

Nel 2016, per ovviare alle continue critiche, la Mattel ha finalmente iniziato a produrre modelli di bambole plus-size, e le Barbie attuali sono disponibili in cinque diverse tipologie di corpo. Barbie, poi, è stata una donna in carriera, fin dalla sua nascita ha avuto più di 200 percorsi lavorativi diversi, peraltro aumentati nel corso degli ultimi anni. Questo cambiamento è stato anche una risposta alle critiche rivolte alle bambole che, intenzionalmente o meno, hanno alimentato stereotipi misogini riguardanti l’abilità delle donne. 

Ma arriviamo al cambiamento che più ci interessa, quello ecologico, finalmente! La nuova Barbie “Loves the Ocean”. Appena lanciata, è fatta in gran parte di plastica riciclata per promuovere la salvaguardia degli oceani. Uno dei giocattoli più famosi al mondo fa un passo avanti verso un’ottica green! Le parti in plastica delle bambole amiche dell’oceano sono realizzate per il 90% in plastica come bottigliette e contenitori destinati a galleggiare, arrivando magari fino all’oceano, recuperati e destinati alle braccia e alle gambe di Barbie. Non sono fatte con questa plastica di recupero le teste delle bambole, così come gli accessori (le scarpe, il tablet e la lanterna da spiaggia). Sono alte circa 28 cm e sono disponibili in tre diverse tonalità della pelle.  Questa collezione e partnership segue l’obiettivo di Mattel di raggiungere il 100% di materiali plastici riciclati, riciclabili o a base biologica in tutti i suoi prodotti entro il 2030.

Tornando per un attimo al film, quest’ultimo ha però alimentato polemiche a non finire, in primis lo scontro Greenpeace vs Mattel. Secondo uno studio effettuato dal Colosso dal Cuore Verde, pare che la Mattel utilizzi, per i suoi imballaggi, del legno proveniente dalle foreste pluviali dell’Indonesia, un’area minacciata dalla deforestazione e che dovrebbe rientrare tra le aree protette. Questo polmone verde ospita un gran numero di specie minacciate dall’estinzione, dalle tigri agli oranghi, e tutte queste potrebbero veder accelerare la loro sparizione a causa di un semplice imballaggio di cartone.

Il gruppo ambientalista ha chiesto all’azienda di smettere di usare quel legno per il confezionamento dei suoi prodotti, e siccome dalla sede della Mattel non arrivano risposte, Greenpeace ha deciso di passare al contrattacco come meglio sa fare, cioè con le azioni dimostrative. È partita una campagna di discredito della bambola in America, attraverso Facebook, in cui si mostra Ken, il suo storico fidanzato, che la lascia dicendo: Barbie: è finita. Non voglio uscire con una ragazza coinvolta nella deforestazione!

Ma non è tutto: come ben sappiamo, il mondo di Barbie è totalmente rosa. La scenografia del film, dunque, doveva adeguarsi. Si potrebbe pensare che, dato che siamo nel 2023, questo effetto sia stato creato con la computer grafica. E invece, a quanto pare, no: si è preferito usare un metodo più tradizionale, ovvero la classica vernice rosa, con buona pace dell’ambiente. E diciamo così perché non si è acquistato qualche latta di vernice, ma se ne è fatto un uso così massiccio da creare una carenza mondiale.

“Mantenere la ‘bambinità’ era fondamentale. Volevo che i rosa fossero molto luminosi e che tutto fosse quasi eccessivo”, è quanto ha rivelato la regista. Un dettaglio a cui non voleva proprio rinunciare, dato che questo colore rosa così accentuato era quello che le aveva fatto “amare Barbie quando ero una bambina”.

La scenografa Sarah Greenwood, presente anche lei all’intervista, ha raccontato le assurde conseguenze che questa volontà ha avuto. A suo dire ciò ha portato ad una carenza della tonalità fluorescente della vernice rosa, cancellando le forniture globali di un’intera azienda. La donna ha scherzato: “Il mondo ha finito il rosa”, ma le sue parole sono finite al centro della bufera. Tuttavia, la produzione di Barbie ha coinciso con problemi più ampi della catena di approvvigionamento globale durante il Covid, nonché con il clima estremo in Texas all’inizio del 2021, che ha colpito i materiali vitali utilizzati per creare la vernice.

Insomma, dei bei disastri attorno a questa Barbie, e tutto quello che si porta dietro. Ma noi facciamo il tifo per te, biondissima amica di sempre, soprattutto con l’arrivo della tua gemella Barbie Loves the Ocean.

E ricordati che in fondo la colpa non è tua: tu sei solo Barbie!

Capodanno è settembre

Capodanno è settembre

Non so voi ma per me l’inizio dell’anno è il primo di settembre, non certo l’1 di gennaio. 

Qualcuno dirà: sei il solito adolescente attempato che pensa ancora agli anni della scuola, può anche darsi ma, dite la verità, chi non l’ha pensata almeno una volta come me? No?! Bugiardi! Lol

Allora mettiamola così: per molte persone, io per primo, la fine delle vacanze estive coincide con la voglia di stilare la lista dei buoni propositi per 12 nuovi mesi carichi di energia e voglia di fare cose mai fatte prima. Così vi piace di più?

Insomma, settembre è il momento migliore per mettere nero su bianco i nuovi obiettivi e i desideri da trasformare in realtà nei mesi successivi. 

Facciamo così, io metto la mia lista, appena stilata, mese per mese, voi leggetela e poi nei commenti o sui nostri social scrivetemi la vostra. 

Dai, giochiamo un po’, ci state? 

Pronti, attenti, viaaa!

 

Settembre: imparare qualcosa di nuovo ogni mese

La routine quotidiana limita la curiosità. È importante dedicare alcuni momenti, nel corso della settimana o del mese, per imparare qualcosa di nuovo, che sia un corso online o in presenza, ci si può dedicare ai fornelli, per esempio, mettendosi alla prova con una ricetta mai provata prima o si può iniziare a studiare una nuova lingua.

Ottobre: ridurre il tempo trascorso di fronte agli schermi

Viviamo una vita sempre connessa di fronte a uno schermo. Spesso stiamo lì davanti più tempo di quanto si dovrebbe. Con l’arrivo dell’autunno, il suggerimento è di fare un digital detox, un po’ di pausa dalla tecnologia: meglio dedicarsi allo sport o ai giochi da tavolo, ideali per i pomeriggi autunnali.

Novembre: leggere almeno un libro al mese

Leggere è un meraviglioso antistress, allontana la mente dalle preoccupazioni quotidiane. Inoltre, stimola la creatività, migliora le proprietà di linguaggio e la memoria. Il consiglio del mese di novembre, quindi, è di leggere almeno un libro al mese. Bastano 10 -15 pagine al giorno per finire un libro in 30 giorni.

Dicembre: regalare esperienze

Anche se sembra ancora presto, si può già pensare a un regalo di Natale per le persone alle quali si vuole bene che possa essere in linea con un visone sostenibile ed emozionale della vita. E allora: concerti, attività adrenaliniche, un fine settimana alla spa, un viaggio in luoghi inusuali. Un’occasione per creare insieme nuovi ricordi, divertirsi, rilassarsi e non comprare l’ennesimo oggetto.

Gennaio: fare acquisti più consapevoli

Il proprio impatto sull’ambiente può essere ridotto anche quando si fanno acquisti: dagli alimentari, prediligendo prodotti a chilometro zero, di stagione, prevalentemente vegetali e che non prevedono imballaggi di plastica o non riciclabili, fino all’abbigliamento, optando per capi di qualità ed evitando il fast fashion (Abbiamo scritto un articolo che parla proprio di questo! Leggi l’articolo). Anche se gennaio è il mese dei saldi, cominciare a cambiare abitudini e fare scelte e acquisti più consapevoli, è sicuramente un’ottima idea.

Febbraio: visitare almeno un posto nuovo al mese

Per non smettere di stupirsi, per arricchire le proprie settimane e per non lasciarsi travolgere da “le mie giornate sono tutte uguali” uno dei buoni propositi da scrivere nero su bianco è quello di provare a visitare almeno un nuovo posto ogni mese: una città mai vista prima, un museo non lontano da casa, un nuovo locale o una nuova mostra. 

Marzo: spostarsi in modo più sostenibile

L’arrivo della primavera è un buon momento per iniziare a spostarsi in modo più sostenibile, preferendo la due ruote o i propri piedi. Spesso capita di utilizzare l’automobile per percorrere distanze che si potrebbero coprire anche a piedi o in bicicletta. La mobilità sostenibile, non solo ridurrà il proprio impatto sull’ambiente, ma farà del bene anche al proprio organismo.

Aprile: dormire almeno 7 ore ogni notte

Aprile dolce dormire. Riposare ricarica le batterie ed è quindi importante dedicargli il giusto tempo. La regola generale è quella di dormire almeno 7 ore ogni notte. Facciamolo! È importante, inoltre, che il riposo non subisca interruzioni; quindi, l’ideale sarebbe riuscire a eliminare interferenze sonore e luminose, se non necessarie. Una corretta igiene del sonno contribuisce, infatti, a mantenere il corpo in salute.

Maggio: creare un angolo green in casa

Che sia in terrazzo, in giardino o vicino a una finestra, creare un proprio angolino green in casa può non solo rivelarsi un ottimo passatempo, ma anche regalare luminosità e vivacità agli ambienti. Maggio è il mese perfetto per fare il pieno di piante al vivaio, per piantare i nuovi semi o cambiare i vasi alle piantine che già colorano di verde le stanze della propria abitazione. Fare l’orto sul balcone non è poi così difficile! (Abbiamo scritto un articolo anche su questo! Leggilo subito)

Giugno: fare almeno 10.000 passi al giorno

Per mantenere uno stile di vita sano e mantenere il corpo in movimento  sarebbe l’ideale fare almeno tra gli 8.000 e i 10.000 passi al giorno (anche in maniera discontinua) nell’arco della giornata, meglio se in mezzo alla natura. In questo modo non solo si migliora la circolazione sanguigna e la mobilità, ma anche l’umore. Giugno è il mese perfetto per iniziare questa sfida personale.

Luglio: trascorrere più tempo in mezzo alla natura

Secondo numerosi studi, trascorrere del tempo in mezzo alla natura non solo riempie gli occhi di bellezza, ma aiuta anche a rilassarsi, a ridurre lo stress e l’ansia, ad aumentare la concentrazione e a migliorare l’umore. Per chi vive in città, la soluzione possono essere i parchi, che per quanto piccoli permettono comunque di allontanarsi dal cemento e dalle mura delle proprie abitazioni.

Agosto: prediligere vacanze con un basso impatto ambientale

Agosto è il mese delle ferie e di meritato riposo, ma senza dimenticare la sostenibilità. Anche una vacanza, infatti, può essere green: dal mezzo di trasporto utilizzato alla scelta di strutture eco-sostenibili ed eco-camping, passando per la riduzione del peso dei bagagli, che influiscono su consumi ed emissioni, e la scelta della crema solare, che potrebbe influire negativamente sull’ecosistema.

 

Ecco fatto, che ne pensate?

Aspetto le vostre liste!

Ma che “Pun” dici?

Ma che “Pun” dici?

Il mercato tutelato ha ormai le ore contate, tra poco sarà il “via libera” definitivo al mercato (quello) libero dell’energia.

E tutto sarà come un enorme centro commerciale pieno di possibilità super pubblicizzate e super convenienti. Ma come faremo a districarci nell’infinito mare senza orizzonte dell’energia? Proviamo a darvi una mano nel tentativo di arrivare almeno a dei capisaldi sui quali basare la vostra scelta.

Innanzitutto a tutela del consumatore, è stato costituito, dal Gestore dei Servizi Energetici, il GME che ha il compito di organizzare e gestire i mercati dell’energia elettrica, del gas naturale e quelli ambientali, nel rispetto dei principi di trasparenza, obiettività e concorrenza. E già ci sentiamo un po’ più sicuri! Tutti i fornitori comprano energia in borsa, questo ormai è chiaro come il sole.

Ed è proprio in borsa che tutto si decide: il match è l’incontro/scontro tra domanda e offerta, ed è da questa contrattazione che si determina il prezzo dell’energia, il famigerato PUN (che non è altro che il prezzo all’ingrosso o prezzo unico nazionale). Spulciando tra le offerte avremo sicuramente notato la dicitura: Pun + Spread. Addirittura! Ma non ne bastava uno?! Calma! E’ facilmente risolvibile: lo Spread non è altro che il ricarico che la compagnia fornitrice applica al costo della materia prima: ecco che Pun + Spread non sarà altro che il prezzo finale al Kw della materia prima.

Ma arriviamo alla bolletta. I costi da aggiungere ai reali consumi sono tanti, qualcuno direbbe, a ragione, troppi! Per non parlare di quando chiediamo banalmente un aumento di potenza; in questi casi in bolletta troveremo ulteriori costi non riconducibili al fornitore, bensì al distributore, ovvero il proprietario del contatore. Così come i costi che provengono dai subentri (procedura con la quale un’abitazione viene collegata alla rete di distribuzione dopo che il precedente intestatario ha disattivato il contatore) o dalle volture (la procedura che si richiede quando si desidera modificare l’intestatario dell’utenza senza l’interruzione della fornitura).

Noi di Italia Gas e Luce, in questi casi, da sempre non applichiamo costi ulteriori a quelli richiesti dal distributore che gestisce la pratica. Resta lo Switch, che è il cambio del fornitore energia, e che non deve mai avere un costo. In tutto questo marasma energetico, noi di Italia Gas e Luce, cerchiamo sempre di essere trasparenti, chiari e disponibili al dialogo e al confronto, tenendo bene in mente quelle che sono le nostre forze: energia 100% verde, tariffe super convenienti per aziende e privati, un servizio clienti a 5 stelle certificato su Google.

Nessuno nasce “imparato”

Nessuno nasce “imparato”

Diciamoci la verità, nessuno nasce con il rispetto per l’ambiente, e per il verde, incorporato. Anzi, l’uomo, per natura, ha un rapporto contrastato con la natura e non sempre è portato a riconoscerla e rispettarla. Da qui nasce l’importanza di un’educazione ambientale che cominci il primo possibile: dall’infanzia, e già nelle nostre case.

Coinvolgendo i bambini che, una volta ben catturati sul piano degli stimoli e dell’attenzione, si mostreranno subito molto sensibili al loro futuro e al mondo che vogliono. Inoltre, nulla si impara in un giorno, e quindi anche l’insegnamento deve essere continuo e graduale, e deve cominciare quando i bimbi sono ancora piccoli, ma già in grado di capire quali sono le conseguenze degli atti che compiono.

In fondo basta poco per trasmettere ai propri figli uno stile di vita eco-sostenibile, l’importante è farlo in maniera divertente e creativa. Ecco alcuni consigli utili:

1)Coinvolgete i bambini nel processo di smaltimento dei rifiuti prodotti in casa insegnando loro come fare la raccolta differenziata e soprattutto spiegando loro cosa accadrebbe se tutti i rifiuti venissero accatastati senza alcun criterio.

2)Mettete un cestino nella sua camera in modo tale che possa buttarvi la carta che non gli serve più;

3)Se avete un giardino, insegnate loro che i rifiuti umidi domestici possono trasformarsi in un concime naturale per le piante. I bambini ne rimarranno affascinati;

4)Spiegate ai piccoli quanto sia importante non contribuire all’inquinamento dell’aria che respiriamo.

5)Insegnate loro che le automobili inquinano e che se non dobbiamo percorrere tanta strada è bene muoversi a piedi o in bicicletta.

6)Insegnate loro anche a non sprecare l’acqua e spiegate loro che non c’è bisogno di far scorrere troppa acqua per fare una doccia. Provate ad esempio a impostare un cronometro ogni volta che i bimbi fanno la doccia e stabilite un piccolo premio se terminano prima che il timer suoni;

7)Stessa cosa per le luci accese: è importante che i bambini imparino a risparmiare energia elettrica;

8)Portate spesso i vostri figli a fare una passeggiata in campagna o in un parco pubblico per far capire loro quanto sia importante rispettare la natura;

9)Se vi recate in un parco giochi insegnate loro il rispetto di tutte le strutture presenti: sono un bene per tutta la comunità e per questo devono essere sempre mantenute in buone condizioni.

 

E poi ci sono alcuni comportamenti ecologici per i bambini da trasmettere dai genitori ai figli. Per esempio:

1)Il giardinaggio e il piacere di fare l’orto sono cose che si possono fare fin da piccoli. Anche in spazi molto ristretti.

2)Scambio e condivisione sono due parole chiave dell’economia circolare e della sostenibilità. E riguardano anche i guardaroba dei vostri figli.

3)Gli animali, in generale, vanno rispettati, ma non devono neanche spaventare.

4)Donare, fare volontariato: sono gesti e comportamenti che prima partono e meglio è per tutti, genitori e figli.

 

In conclusione, per spiegare la sostenibilità ai bambini sono importanti e utili due cose: la collaborazione tra la scuola e la famiglia. Se il bambino sarà incentivato ad approfondire questi temi a scuola, allora sarà più facile condividerli e parlarne anche in famiglia. Bisogna, inoltre, alleggerire il concetto di sostenibilità. E’ inutile spaventare i bambini con il catastrofismo ambientale, meglio fare insieme qualche lettura utile sui temi ambientali. La scuola è un punto cruciale per insegnare ai bambini il rispetto dell’ambiente e in generale la sostenibilità.

Nessun ombra su Umbria Jazz

Nessun ombra su Umbria Jazz

La musica dal vivo è da sempre sinonimo di libertà, a volte di ribellione, sicuramente di aggregazione. Chi non mette nei giorni memorabili della propria giovinezza almeno un concerto che ha visto? Chi non si è innamorato perdutamente o ha pianto per la fine di un amore, sotto un cielo gonfio di stelle, al concerto della propria band preferita? Insomma, la musica e i concerti sono i nostri compagni ideali per “smuovere” tutto quello che di bello e di brutto portiamo dentro, sia da adolescenti che da adulti.

Certo, c’è modo e modo per esternare tutta questa energia sentimentale. Fino a poche stagioni fa il “Concertone” era sinonimo anche di spreco, sporcizia, e maltrattamento dei luoghi dove si teneva l’evento. Un esempio su tutti: il Jovanotti beach club, che ha destato, degli ultimi anni, innumerevoli critiche sulla gestione dei luoghi in tema di ecosostenibilità, sempre però duramente smentite dal diretto interessato.

Per fortuna, tutto sta cambiando: esempio lampante è “Umbria Jazz”, uno tra i festival musicali più famosi e apprezzati in Italia appena concluso, che festeggia 50 anni, diventato il primo festival green certificato EcoEvents.  Il bello di Umbria Jazz è quello di animare tutta la città di Perugia da mattina a sera, non solo con gli show all’aperto sui palchi principali ma anche con la parola d’ordine sostenibilità bene in mente! Le iniziative che il Festival, insieme a  una regione verde come l’Umbria, hanno abbracciato, vanno dall’utilizzo nei punti ristoro di prodotti, quali bicchieri, piatti, posate e tutto ciò che si rende necessario nelle varie fasi della ristorazione, esclusivamente in materiali 100% biodegradabili e compostabili o riutilizzabili,  all’istallazione di erogatori d’acqua e la promozione dell’uso di borracce e di bicchieri in plastica durevole, per ridurre il ricorso all’usa e getta.

Dalla preparazione degli alimenti con prodotti a basso contenuto d’imballaggi, all’allestimento di isole ecologiche all’interno degli spazi delle manifestazioni, promuovendo al contempo iniziative di informazione e sensibilizzazione in tema di riduzione dei rifiuti, raccolta differenziata, riuso e riciclo.

Senza dimenticare l’azzeramento delle emissioni di CO2 tramite l’adesione a progetti nazionali e internazionali di compensazione. O l’impegno a favorire la mobilità sostenibile, attraverso la scelta della location.

Infine, con l’utilizzo di campagne informative e di sensibilizzazione per diffondere tra il pubblico di riferimento l’uso dei mezzi pubblici, la limitazione dell’utilizzo dell’automobile favorendo la disponibilità di navette gratuite per raggiungere i luoghi dei festival, o il car-sharing, come anche il noleggio di biciclette, favorendo la mobilità pedonale e ciclabile grazie alla predisposizione negli spazi dove si svolgono gli eventi di aree dedicate a chi opera questa scelta.

Umbria jazz è uno spot vivente all’ecosostenibilità.

 

Perché la musica è un valore condiviso, un’energia pulita e rinnovabile che fa bene alle persone e alla comunità.

Dunque, davvero un ottimo risultato e traguardo che lascia margini di miglioramento per le prossime edizioni e contribuirà a fare da traino per l’intero mondo dello spettacolo dal vivo italiano.

Un calcio alle brutte abitudini

Un calcio alle brutte abitudini

Eh, sì, anche il calcio sta cambiando, e sta andando nella direzione del green. L’esempio migliore lo dà la Dacia Arena, stadio dell’Udinese calcio, che viene menzionata nel mondo come fiore all’occhiello italiano per la sostenibilità.

Presto faremo una partita ad emissioni zero” dice Magda Pozzo, coordinatrice Marketing Udinese Calcio.

Ma come deve essere concepito uno stadio contemporaneo?

Innanzitutto, non deve essere legato esclusivamente al calcio ed al matchday, ma avere le proprie attività quotidiane, dove l’innovazione si sposa con la sostenibilità. La Dacia Arena è a tutti gli effetti il primo stadio green d’Italia.

Il primo step è stato fatto con l’idea “Bluenergy”: lo stadio è illuminato solo con energia da fonti rinnovabili, il che ha consentito di risparmiare oltre 2250 tonnellate di CO2. Parallelamente con la promozione di progetti green, come la piantumazione di alberi, per compensare le emissioni. Inoltre, in tutto lo stadio viene attuata la raccolta differenziata e limitato il consumo di plastica.

E grazie a tutti questi sforzi che quest’anno, la Football Sustainability Index pone l’Udinese tra gli unici due club italiani (l’altro è il Milan) tra i primi 10, ed in quarta posizione a livello globale. “Non è assolutamente un caso. Per noi è solo un primo step in un percorso che vogliamo sia sempre più intenso e concreto sotto tutti i punti di vista – sottolinea Magda Pozzo – Direi che siamo diventati un riferimento internazionale per un club delle nostre dimensioni, come evidenziato dalla nostra adesione al programma Sport For Climate Action delle Nazioni Unite, per la promozione di una maggiore responsabilità ambientale verso i nostri tifosi e non solo, di un consumo sostenibile e, al tempo stesso, l’impegno per ridurre l’impatto climatico degli eventi sportivi e a sostenere con la nostra comunicazione l’azione climatica. Un impegno totale che ci ha portato a questo risultato”.

Rimane però ancora ampio, a livello generale, in divario tra i club inglesi e la Serie A in tema sostenibilità. In Inghilterra e in Spagna l’urgenza sociale di questo tema è stata colta in anticipo e questo ha fatto sì che si creasse un gap rispetto al nostro Paese. Però è ormai evidente che, grazie agli esempi di Udine e Milano, sia iniziato un processo che sta portando il calcio italiano nella giusta direzione. La consapevolezza che il calcio non sia solo un gioco, ma soprattutto una passione ed un’industria con un incredibile potere comunicativo e sociale che deve trasmettere dei messaggi positivi, è la chiave del successo dell’iniziativa.

In più, sempre più atleti stanno prendendo consapevolezza di quanto sia importante la loro voce e la loro sensibilità per promuovere il tema ecologico. Il calcio di oggi è globale e raggiunge, grazie ai social, le nuove generazioni ad una velocità mai avuta in passato. Questo fa sì che il messaggio arrivi diretto, forte e chiaro. È un qualcosa di straordinario che va capitalizzato.

La “fascia di capitano dedicata” è un simbolo importante che suscita impatto mediatico ed anche curiosità, ma l’impegno concreto dei protagonisti in campo veicola ancor di più il messaggio. E’ ormai chiaro che solo unendo gli sforzi delle società con quelli dei singoli atleti si possa arrivare a trasformare degli slogan ecologisti in un reale cambiamento, duraturo e definitivo.

Se vogliamo dirlo in gergo calcistico: a vincere la partita con una goleada!

La spiaggia è per tutti?

La spiaggia è per tutti?

“La spiaggia è di tutti, e io sono libero di farci quello che voglio”. Questo è stato il pensiero comune della sprovveduta comunità di bagnanti che affollavano le meravigliose spiagge italiane, famose in tutto il mondo, fino a qualche tempo fa, adottando comportamenti decisamente discutibili, non curandosi di lasciare il luogo “come lo avevano trovato”. Per fortuna, si è deciso di combattere la maleducazione imperante, correndo ai ripari con l’obiettivo di salvaguardare l’immenso patrimonio paesaggistico e naturale nel quale noi italiani siamo abituati da sempre ad abitare.

Le pratiche green stanno, finalmente, interessando anche i lidi, compiendo alcune scelte che vanno in un’ottica di maggiore sostenibilità ambientale. Del resto, considerato quanto la Terra ci offre, amarla e rispettarla con pochi e semplici gesti può davvero fare la differenza. A partire dal 2015 Legambiente concede l’ecolabel (ISO 13009) ‘Lidi sostenibili’ alle spiagge che si attengono a determinati principi di sostenibilità. Questi i parametri da rispettare:

 

– Il libero accesso al mare

– La gestione ecosostenibile degli spazi

– La definizione di attività sostenibili

– La salvaguardia della natura

– Il rispetto delle risorse naturali

– La comunicazione della cultura dei luoghi

 

Una spinta ulteriore è arrivata sicuramente anche grazie all’impegno delle associazioni locali e nazionali, prima fra tutte Legambiente, con l’obiettivo di promuovere e far conoscere quegli stabilimenti balneari che coniugano l’offerta turistica con alcune scelte di tutela ambientale, servizi di qualità, offerta di prodotti locali e a chilometro zero, utilizzo di energia rinnovabile e implementazione di sistemi di gestione del ciclo di rifiuti e delle acque. Il progetto si è poi fuso con quello del sito ecospiagge.it, che da quindici anni è impegnato in un’azione di sensibilizzazione rivolta alla promozione delle spiagge e degli stabilimenti balneari italiani che privilegiano la sostenibilità e il basso impatto ambientale.

L’Emilia-Romagna la fa sicuramente da padrona, con il maggior numero di stabilimenti balneari che hanno aderito al progetto e ottenuto la certificazione. Ma alcune best-practice si trovano anche in altre regioni italiane. In Liguria, ad esempio, spiccano i Bagni Mafalda Royal di Varazze che sono stati premiati per una particolare cura delle risorse naturali, lo studio del patrimonio della flora locale e marina, la realizzazione di un orto da mare in verticale e l’uso di olio ligure dop nel ristorante.

Nel Lazio invece, il Lido Idelmery di Arma Di Taggia è stato definito un lido sostenibile grazie all’impegno dei gestori che hanno puntato soprattutto sull’incentivare l’accessibilità e sul potenziamento dei servizi.

Il bagno Sara di Massa è invece una delle eccellenze della Toscana ed ha segnato un record, quello del primo stabilimento balneare italiano ad essere totalmente autosufficiente energeticamente grazie al solare. L’impianto fotovoltaico da 20kW consente infatti di poter fare 240 docce al giorno, usando solo energia pulita.

Le spiagge, sì, sono di tutti, ma solo adottando comportamenti corretti ed educati potremo continuare a godere dei nostri tanto amati luoghi di villeggiatura, visitati da turisti di tutto il mondo. W l’Italia, e chi la ama davvero!

Se son ferie, “ferieranno” green!

Se son ferie, “ferieranno” green!

Per molti, le vacanze sono qualcosa a cui semplicemente non si può rinunciare. Che si tratti di staccare la spina per qualche giorno o di avere finalmente l’opportunità di visitare una destinazione che si sogna da sempre: viaggiare è diventato parte integrante della nostra vita. E ora più che mai, considerando gli ultimi tre anni di pandemia, sentiamo il desiderio di preparare la valigia e partire.

Con l’inizio del mese di giugno possiamo dire che l’esodo dalle città è ufficialmente cominciato. Anche se il vero e proprio “boom” delle vacanze estive risale alla metà del secolo scorso, l’idea della fuga dalla città ha radici ben più antiche. Per la precisione, infatti, sono stati i Romani ad aprire la strada all’amato concetto di vacanza.

Il mondo, però, sta diventando sempre più “eco-consapevole”, e man mano che il cambiamento climatico si presenta più evidente ci ritroviamo a mettere in discussione le nostre scelte anche da questo punto di vista.  Il turismo è la quarta causa di inquinamento ambientale e di produzione di Co2, sia all’interno dell’Ue che altrove. L’industria del turismo, infatti, è stata identificata come un fattore determinante nelle pressioni ambientali; in particolare riguardo la carenza idrica, l’uso del suolo e delle risorse, lo sfruttamento degli habitat costieri, con conseguente perdita di biodiversità.

Questa nuova consapevolezza ha fatto sì che i termini di ricerca “eco-turismo”, “vacanze ecologiche” e “hotel ecologici” abbiano avuto un andamento positivo negli ultimi anni. Insieme ad altre scelte di vita volte alla sostenibilità, questo nuovo tipo di vacanza ha catturato l’attenzione del pubblico e probabilmente diventerà la norma per le generazioni future solitamente più attente all’ambiente.

Il desiderio di viaggiare green è già un trend seguito da moltissimi: secondo il Sustainable travel report di Booking.com, a livello globale l’81% dei viaggiatori vuole partire in modo sostenibile, e il 50% afferma che le recenti notizie sui cambiamenti climatici li hanno influenzati a fare scelte “travel” più consapevoli per l’ambiente. 

Lo stesso report ha anche rivelato che il 59% dei viaggiatori afferma di voler lasciare i luoghi che visita meglio di quando è arrivato, confermando quindi una certa attenzione comune per l’ambiente nel contesto turistico. Ecco allora che comincia a nascere un nuovo modo di viaggiare, più “slow”, più etico e responsabile, che promuove opzioni sostenibili e vuole regalare esperienze di viaggio in sicurezza e tranquillità. 

Il trend è globale, ma trova conferma anche in Italia. Il 52% degli intervistati italiani (tra i 26 e i 40 anni) ha affermato di essere pronto a cambiare le proprie scelte di vacanza, se questo può produrre effetti positivi sull’ambiente. 

Prendono allora piede le vacanze all’aria aperta. Nella classifica di Camping report (CaRe) fatta dal portale italiano campeggi e villaggi vacanze, la destinazione outdoor più cercata nella penisola è la Toscana (13%). Subito dopo ci sono Veneto e Puglia (rispettivamente 12% e 11%). Tra le top 5 anche Sardegna (10%) e Marche (8%). 

Il quadro è chiaro: gli italiani vogliono fare vacanze green, sia perché vogliono stare nel verde sia perché vogliono avere il minor impatto possibile sulla natura. Secondo molti, infatti, un turismo essenziale, quindi ambientalmente sostenibile, non solo ci permetterebbe di vivere meglio, ma potrebbe aiutare a salvare il pianeta.

E noi di Italia Gas e Luce non possiamo far altro che “sposare” l’idea, perché quando è green è giusto. Dunque, preparate le valigie, che è tempo di partire!

Vivere off-grid

Vivere off-grid

Arriva sempre quel momento nella vita in cui dici: Basta, adesso mollo tutto e apro un chiringuito ai Caraibi! Chi non l’ha pensato, almeno una volta? E anche se la fuga dalle città è sempre di moda, in un’epoca che va a 200 all’ora verso il futuro, i desideri ormai sono cambiati e spingono nella direzione “high tech”: una bella casa off-grid! Di cosa stiamo parlando, direte voi? Letteralmente con il termine Off-grid si fa riferimento a una casa fuori rete (senza gas, elettricità, sistema fognario e connessione a internet), quindi a un’abitazione totalmente scollegata da ogni tipo di rete e indipendente in ogni aspetto, che si alimenta sfruttano solamente gli elementi rinnovabili, come il sole, il vento e la pioggia, così da non consumare e non inquinare.

Per alimentarsi, le case off-grid utilizzano l’elettricità autoprodotta con le fonti rinnovabili, come ad esempio il fotovoltaico. In realtà, oltre ai pannelli solari, queste abitazioni possiedono anche delle batterie per accumulare corrente in accesso ed utilizzarla nei periodi di minore irraggiamento o durante la notte. Essendo totalmente scollegate dalla rete, è indispensabile installare un impianto fotovoltaico con accumulo e non uno tradizionale.

Quindi, quali sono i punti forti di un immobile off-grid?

1) La raccolta di calore con i pannelli solari a tubi per produrre acqua calda a partire da tale calore ottenuto. Si tratta di utilizzare materiali che possano ridurre al massimo i consumi.

2)L’elettricità prodotta in questo luogo deriva solo ed esclusivamente da fonti inesauribili e rinnovabili ed è sufficiente per alimentare un’intera casa e soddisfare il fabbisogno.

3)Per realizzare queste case si sfruttano per il 45% di materiali riciclati. Si tratta di dare nuova vita a componenti che altrimenti andrebbero eliminate.

4)Il tetto è costruito in modo tale da convogliare l’acqua piovana in una cisterna di raccolta. Qui il flusso viene filtrato e trattato finché non diventa idoneo all’utilizzo potabile e non. Raccogliendo l’acqua si riescono a svolgere tantissime attività quotidiane senza il bisogno di ricorrere a fonti esterne. Da qui si raccoglie anche acqua non potabilizzata ma filtrata, usata ad esempio per lavare i piatti, per fare la doccia o anche per alimentare un terreno e una coltivazione.

Vivere in una casa off-grid è una scelta coraggiosa ma conveniente, da diversi punti di vista. Si tratta di abitazioni, spesso realizzate in legno, un materiale che permette di limitare al massimo i consumi grazie alle proprietà isolanti e traspiranti, con un prezzo molto diverso rispetto a un appartamento o a una casa tradizionale.

Infatti, di solito, per una casa off-grid basica si spendono tra i 7mila e i 10mila euro. Ma, per modelli più sofisticati e innovativi, si possono arrivare a spendere anche 70mila o 80mila euro.

In Italia, purtroppo, non è ancora possibile vivere in una casa completamente indipendente e autosufficiente a causa di alcuni regolamenti che vincolano il concetto di abitabilità alla dipendenza dalla rete. In questo Paese il processo per l’approvazione dei principi alla base delle abitazioni off-grid è ancora in corso di approvazione. Un primo passo importante può essere costituito dall’acquisto e dall’installazione di un impianto fotovoltaico. Infatti, anche se non si raggiunge la piena e completa indipendenza, i pannelli solari consentono di ridurre notevolmente le emissioni e di abbassare i costi di bolletta in maniera significativa. Se il desiderio è di inserirsi nella transizione ecologica e di diventare sostenibili, gli impianti solari diventano un ottimo alleato nell’attesa di poter trasformare la propria casa in una vera e propria abitazione off-grid.

Per i sogni, in Italia, c’è sempre tempo, purtroppo. Almeno quando ci si mette di mezzo la burocrazia e la mancanza di una visione coraggiosa. Ci toccherà aspettare i passi delle nazioni più all’avanguardia, per poi salire, come al solito, sul carro dei vincitori. Comunque, la sensazione è che il futuro non sia mai stato più vicino di adesso. 

Mammamia è una Sushimania

Mammamia è una Sushimania

Ormai è un dato di fatto, la tanto amata e celebrata cucina italiana non ha più l’esclusiva sulle nostre tavole. Ci stiamo lasciando sedurre da piatti esotici, provenienti da paesi lontani: da quelli piccanti del “messicano”, a quelli speziati dell’”indiano”, da quelli saporiti del “cinese” fino a quelli agrodolci del Marocco. E i ristoranti sono sempre pieni! Ma c’è una cucina che spazza via tutte le altre concorrenti dal cuore e dal palato di noi italiani: quella giapponese. È ormai a tutti gli effetti Sushimania, dove a farla da padrone sono il salmone e l’avocado. Quanto li amiamo! Specialmente uniti in un sol boccone, magari bagnati dalla soia, zeppa di wasabi.

Ma questa nuova moda culinaria ha un prezzo? Certo che sì, e non solo economico, ma soprattutto sul piano della sostenibilità. Quanto danno recano le coltivazioni di questi due “fenomeni da ristorante” all’ambiente mondiale?

Cominciamo con l’avocado.

Sarà complice il nome esotico e il sapore delizioso, ma questo frutto è arrivato sulle nostre tavole e, soprattutto, nei menù dei ristoranti, per cui ormai un brunch domenicale non è tale senza un avocado toast, sia nella versione “veg” che abbinato al salmone. Il successo di questo alimento nasconde, però, ombre non indifferenti. In primis, la grande quantità d’acqua richiesta per la sua coltivazione, secondo, quanto calcolato dall’Università di Twente nei Paesi Bassi, la produzione di avocado ha un costo idrico molto elevato. Si stima, infatti, che 500 grammi di frutta richiederebbero 272 litri d’acqua, considerando che una mela di 100 grammi ne necessita 70 e la lattuga 20. Inoltre, la domanda europea, costante e in crescita, sta mettendo seriamente in difficoltà le aree agricole dei paesi di coltivazione, prevalentemente il Sudamerica. In dieci anni (2012-2022) la produzione è quintuplicata, le esportazioni decuplicate e moltissimi terreni dedicati a più tipi di coltivazione differenti sono stati trasformati in monocolture. In più, in tutta l’America Centrale e Meridionale, l’aumento di domanda di avocado dall’estero ha fatto sì che anche molte terre vergini e foreste fossero trasformate in piantagioni.

Tuttavia, esistono delle alternative sostenibili sia dal punto di vista ambientale che umano.

Primo aspetto da considerare è la stagionalità: la raccolta dell’avocado comincia a ottobre per le varietà Zutano, Fuerte e Bacon e prosegue con la Hass (quella oggi più diffusa) da gennaio fino ad aprile, al massimo fino al mese di maggio. Questi sono i periodi in cui è possibile acquistare e consumare avocado fresco, durante il resto dell’anno è molto probabile che il prodotto che troviamo nel supermercato non sia effettivamente sostenibile.

Anche la provenienza del frutto può aiutarci a scegliere un alimento che ha meno impatto sull’ambiente. Infatti, non esistono ragioni per cui l’avocado non possa essere coltivato lontano dal Sudamerica: ne sono testimonianza i 10.000 ettari di terreni ad esso dedicati in Spagna e i 260 ettari in Sicilia. In questa Regione si è scelto di investire in un prodotto biologico, di qualità e sostenibile.

Tocca adesso al salmone, e anche con questo animale così particolare, la storia non cambia.

Un salmone selvatico, grazie alla sua alimentazione naturale, ha carni di un colore rosato e uniforme, e nasce con l’incredibile propensione che lo porterà a risalire lo stesso fiume in cui è nato. Questo suo comportamento, insieme al fatto di aver vissuto tutta la vita in mare aperto, determina un basso tasso di tessuto adiposo. I salmoni di allevamento, invece, non godono di queste caratteristiche. Nutriti con mangimi a base di altri piccoli pesci, cereali e soia, la loro carne è molto più sbiadita. Questo non è ammissibile in un mercato che utilizza il colore della carne come primo criterio di valutazione della qualità del salmone. Ecco che per il pesce allevato è diventata ormai la prassi aggiungere coloranti e additivi in modo da accontentare l’occhio del cliente. Inoltre, fortemente limitati nei loro movimenti, i pesci allevati risultano essere molto grassi e, se la loro dieta è ricca di vegetali, presentano percentuali minori di quegli omega-3 tanto importanti anche per la nostra salute.

Gli allevamenti intensivi, inoltre, nascono con lo scopo di produrre tanto col minimo sforzo. Gli animali vengono quindi ammassati in spazi ben al di sotto di quanto avrebbero bisogno, e quel che ne deriva è un aumento dello stress, dell’aggressività e delle patologie. Di conseguenza, per ridurre la trasmissione di malattie nell’allevamento, i pesci vengono alimentati con mangimi ricchi di antibiotici. Con il risultato che consumare alimenti provenienti dalla maggior parte degli allevamenti intensivi contribuisce ad aumentare l’antibiotico-resistenza nella popolazione.

Lo spreco idrico è altrettanto drammatico: gli allevamenti ittici sfruttano grandi quantitativi d’acqua che provengono dai fiumi riducendo così le disponibilità per l’agricoltura e la popolazione locale.

Ogni volta, dunque, arriviamo alla triste conclusione che il più grande nemico della sostenibilità sia l’uomo stesso, che prepone sempre il proprio piacere e il divertimento alle responsabilità, senza rendersi conto che “La più grande minaccia al nostro pianeta è la convinzione che lo salverà qualcun altro” (cit. Robert Swan).

Meditate gente, mediate.

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